
La donna dei mirtilli rossi di Susanne Jansson
Le paludi che circondano Mossmarken, nel Nord della Svezia, hanno delle proprietà particolari che ritardano il processo di decomposizione dei corpi. Negli anni sono tante le persone scomparse misteriosamente in quelle zone senza che la polizia sia riuscita a trovare una spiegazione, tanto che si è sparsa la credenza che nelle torbiere si annidino fantasmi che compiano sacrifici umani. Nathalie, che deve effettuare dei rilevamenti per i suoi studi di biologia, conosce fin troppo bene la pericolosità di quelle terre umide perché è lì che è cresciuta fino a quando un tragico evento non ha portato alla morte dei genitori e l’ha costretta a trasferirsi. Dopo pochi giorni dal suo arrivo, trova un ragazzo privo di sensi nella palude e una fossa scavata che, dopo poco, misteriosamente scompare. Delle indagini è incaricato l’ispettore capo Leiff Berggren coadiuvato dalla fotografa Maya Linde. Maya e Nathalie sono due donne molto diverse che svolgono entrambe la loro indagine: quella di Maya alla ricerca del colpevole con l’occhio attento di chi per lavoro è abituato ad osservare ogni particolare; quella di Nathalie all’interno di se stessa e, decidendo di assecondare i ricordi anziché soffocarli come ha sempre fatto, arriva a chiarire quello che è effettivamente successo ai suoi genitori.
“Una linea di confine tra la terraferma e il mare, tra l’asciutto e il bagnato, il morbido e il solido. Tra la vita e la morte.”
Mi è piaciuto
l’intreccio della storia. L’ambientazione è particolare e il connubio tra le credenze popolari e le spiegazioni tecniche sulla biologia ben bilanciati. Ho trovato però un po’ noiosi gli eloqui esistenziali di Maya.Titolo La donna dei mirtilli rossi

